mercoledì 29 luglio 2009

Bellatin Mario, Dama cinese -


DISPONIBILE DA SETTEMBRE

Bellatin Mario, Dama cinese

2007/ 86 p

10,00 Euro
prezzo scontato 5,00 euro

Un ginecologo combina l'impeccabile esercizio della sua professione con regolari visite ai postriboli. Un bambino dalla testa di dimensioni anormali racconta la storia di un'anziana con la corona mentre aspetta la madre in una sala d'attesa. Non c'è spazio né tempo, soltanto un presente che inchioda le relazioni tra gli individui e il vuoto. La relazione del ginecologo con la moglie, con il lavoro, con i figli, le pazienti, il bambino, le prostitute, le malattie e i denaro, sono narrati attraverso un minimalismo radicale.


RECENSIONE de L'Indice

La tentazione, conoscendo e ammirando Mario Bellatin al di là del libro che qui si recensisce, è quella di abbandonarsi a parlare dell'originalità di questo autore, una delle voci più innovative della narrativa ispanoamericana dell'ultimo decennio, i cui romanzi, in lingua spagnola, sono già stati raccolti in un primo volume dal titolo Obra reunida, fenomeno tanto curioso quanto significativo parlando di uno scrittore nato nel 1960.
Dama cinese, unico romanzo dell'autore messicano finora pubblicato in Italia, è una narrazione breve che si legge d'un fiato come se fosse un thriller, e non è un thriller, pur possedendo quel meccanismo di ambiguità o di mistero o di non detto che fa sì che il lettore venga risucchiato dal libro fino all'ultima pagina senza riuscire a staccarsi, nella speranza di trovare il dato nascosto che ricomponga le fila continuamente sfuggenti della narrazione in una logica rassicurante. Non sarà così. E tuttavia il disagio di non aver colto il "segreto ultimo" del libro è compensato dal fatto di essere stati chiamati a svolgere il ruolo di attori non passivi in un gioco cui si partecipa accettando di muoversi su una scacchiera di piste false che, se la sfida ha funzionato, finiscono per sbarazzarci dei nostri pigri orizzonti d'attesa.
Si tratta di tre personaggi – un ginecologo, un bambino e un'anziana signora – resi enigmatici da una sottile anomalia fisica o mentale che potrebbe passare inosservata se essi non fossero in qualche modo collegati fra di loro. Il ginecologo, uomo dalla doppia vita, ovvero tradizionale capo famiglia e al contempo compulsivo frequentatore di bordelli, ci fa intuire di essere tacitamente responsabile della morte del proprio figlio; il bambino, figlio di una sua paziente, ha una testa lievemente deforme e la bizzarra storia di un pacco da raccontare al dottore; l'anziana signora, già degente in un manicomio, cerca di aiutare il bambino all'ufficio postale, ma finirà per tenerlo in ostaggio per qualche ora in casa propria. A loro volta, le vicende personali dei tre protagonisti, incrociandosi in modo laconico, potrebbero apparire indipendenti. Tuttavia solo in tali furtivi passaggi – come mosse sulla stella a sei punte della dama cinese – acquistano sfumature e risvolti che svelano come le tre storie sussistano proprio alimentandosi a vicenda, quantunque il significato complessivo del testo rimanga in balia del fluttuante universo delle interpretazioni, a provocare quello smarrimento già noto ai frequentatori di Kafka.
A questo punto, però, manca al lettore italiano ulteriore materiale per capire come "kafkiano" (ma anche, e soprattutto, "sperimentale") siano connotazioni così poco appropriate per definire l'universo letterario di Mario Bellatin. Compenserebbe questa mancanza la possibilità di leggere, in un futuro che si spera non troppo lontano, almeno altri due o tre romanzi dell'autore. Ciò permetterebbe di verificare come tale universo nasca da un progetto davvero autonomo e coraggioso, che parte proprio da un'irriverenza nei confronti dei modelli egemonici e dei generi, se non addirittura del fatto letterario in quanto tale, e quindi anche nei confronti di nobilissime scuole come quelle ispirate alla narrativa kafkiana o al nouveau roman.
Ciò che comunque colpisce in Dama cinese è la sua natura per così dire ossimorica, ovvero l'ermetismo della trama, frammentaria e labirintica, unito a un'estrema limpidezza di forma (restituita, in italiano, dall'impeccabile traduzione di Maria Nicola). Si tratta di una scrittura austera, asettica, quasi anoressica, depurata di aggettivi e di dialoghi, che al lettore appare immediatamente come il risultato di un lavoro di sottrazione. Se, del resto, non si riesce a sintetizzare la trama di Dama cinese – né quella di uno qualunque dei romanzi di Bellatin – è perché non si tratta mai di intrecci trasparenti né dotati di un vero e proprio scioglimento. Lo spazio narrativo di questo scrittore, ormai divenuto di culto in America e in un paese letterariamente raffinato e sensibile alle innovazioni come la Francia (dov'è stato finalista del premio Médicis), è in certa misura assurdo ed ermetico solo secondo le abitudini letterarie correnti, mentre è assolutamente coerente con se stesso, in quanto retto da una logica (o illogica) interna propria, che finisce per dare senso a tutto il corpus, finora costituito da una quindicina di romanzi. Quel che è certo è che leggendo Bellatin il lettore si affaccia a un abisso letterario inquietante per accedere al quale deve essere disposto ad abbandonare le proprie aspettative di verosimiglianza e le regole apprese dalla letteratura realista. Deve invece accettare di giocare con il testo come se si trovasse di fronte a un rompicapo o a un modellino da montare, non solo fatto di parole, ma anche di spazi bianchi e di immagini fotografiche, ovvero a un'opera che si ribella ad appartenere all'arte letteraria e aspira ad appartenere all'arte tout court.
Si potrebbe, a questo punto, azzardare, un paragone fra i libri di Bellatin – "libri oggetto", come li ha definiti Margo Glantz – e l'arte concettuale, se non fosse che l'originalità di questo autore rende ogni definizione approssimativa e insoddisfacente, né lui stesso, dalle varie interviste raccolte in rete, sembra accettarne alcuna: "Cercheranno sempre di classificarti in nuovi ordini. L'importante è sputarci sopra in tempo". È inutile dire che bisogna pure sgomberare il campo dalle etichette che il turismo letterario suole automaticamente affibbiare agli scrittori provenienti dal continente latinoamericano (o che certi scrittori continuano furbescamente ad attribuirsi per calcoli puramente commerciali). Bellatin non si ascrive a nessun gruppo, corrente o generazione, nemmeno a quella cosiddetta del "crack" che, proprio in Messico, ha voluto pubblicare una specie di manifesto contro i cliché del cosiddetto "boom". Infine, bisogna dire che Mario Bellatin, pur essendo di famiglia peruviana e di nazionalità messicana, non concede alcun indizio, nella sua opera, che lo possa definire come peruviano o messicano, anzi, confessa di scrivere indifferentemente come uno scrittore musulmano, giapponese, ebreo o cinese, poco importa. Diciamo piuttosto che il suo stile peculiare, e così immediatamente riconoscibile per chi abbia letto più di una sua opera, è responsabile di avergli guadagnato fedelissimi estimatori (e magari anche accaniti detrattori), come si conviene a ogni scrittore che si ponga consapevolmente fuori dal coro.
Anche se qualcuno ha voluto leggere le sue opere in senso allegorico, la cosa certa è che Bellatin preferisce essere considerato uno scrittore engagé non in senso politico ma estetico. In effetti, in un mondo in cui l'informazione sulla realtà viaggia ormai in tempo reale e attraverso mezzi così efficaci da essere insostituibili, alla letteratura incombe sempre meno il compito di restituircela mimeticamente, e sempre più quello di creare sistemi autonomi che al massimo finiscano per rivelarne le pieghe nascoste in modo obliquo o metonimico. Sono queste le finalità della poco canonica Escuela Dinámica de Escritores che Mario Bellatin ha fondato e dirige a Città del Messico, contando sull'appoggio e la collaborazione del meglio dell'intellighenzia nazionale e non. Una sorta di anti-scuola rispetto alle consuete scuole di scrittura creativa, dove tutte le manifestazioni artistiche (danza, fotografia, teatro cinema, letteratura, architettura) vengono parimenti illustrate ed esercitate e l'ultimo dei compiti richiesti a uno studente è quello di scrivere. Del resto, secondo un precetto sufi, corrente mistica dell'islam cui lo scrittore messicano ha aderito da anni, la massima bellezza è pensare che "tutto è parte di tutto", e quindi tutto è parte della letteratura.
Vittoria Martinetto


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